Le sole risultanze della contabilità della fallita non sono idonee a dimostrare la distrazione

  Sia nei processi per bancarotta fraudolenta che nelle azioni di responsabilità intentate dai curatori fallimentari, vi può essere la tentazione di semplificare eccessivamente la prova dei fatti di presunta distrazione.

  Nel primo caso si giunge a imputazioni e, in qualche caso, a condanne illegittime, mentre nel secondo caso si può assistere ad azioni civili di danno che rischiano di rivelarsi infondate.

  Il tema è quello della costruzione di un corretto rapporto probatorio fra le risultanze della contabilità e le ipotesi di distrazione di beni della fallita.

  L’indebita scorciatoia dimostrativa si verifica allorché si pretende di dimostrare che un bene presente in bilancio, ad esempio delle merci, della cui sorte la successiva contabilità non sia in grado di fornire adeguata rappresentazione, sia per ciò solo da considerare distratto o occultato da parte degli amministratori.

  Il che equivale a dire che un’erronea rappresentazione contabile o bilancistica o la mancanza di tale doverosa rappresentazione, pur potendo fondare un addebito di bancarotta documentale o di false comunicazioni sociali, non per ciò solo, consentono di incriminare gli amministratori anche per la distrazione del bene erroneamente o falsamente rappresentato in contabilità.

  Per giungere a tale addebito occorre qualcosa di ulteriore.

  Occorre cioè una prova aggiuntiva volta a corroborare il mero dato contabile e a trasformarlo, sotto il profilo della dimostrazione diretta o, in alternativa, della prova indiziaria, in un corretto accertamento della fisica sottrazione del bene.

  E’ quanto chiaramente risultante dall’analisi di alcune avvedute pronunce della cassazione, fra cui si possono ricordare Cass. pen., Sez. V, 14/06/2018, n. 53405, Sez. 5, n. 49507 del 19/07/2017, Sez. 5, Sentenza n. 52219 del 30/10/2014.

  Vi si legge, innanzi tutto, che le scritture contabili del fallito, per costituire prova della presenza – in una determinata epoca – di beni all’interno dell’impresa, devono essere attentamente valutate sotto il profilo della loro attendibilità, anche alla luce di elementi fattuali di riscontro.

  Occorre, in ogni caso, utilizzare in modo pertinente la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni aziendali. Tale orientamento, infatti, presuppone che sia accertato il dato fisico della mancanza dei beni, senza il quale nemmeno può prospettarsi la loro distrazione.

  Infatti, seppure sia astrattamente possibile che un imprenditore distragga beni dell’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile, rimane sempre il fatto che la prova di tale sottrazione non può essere ricavata, con inammissibile automatismo, dal solo dato contabile, non accompagnato da un doveroso riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni.

  Occorre dunque sempre accertare l’esistenza fisica dei beni nel patrimonio e la loro successiva mancanza, anch’essa da intendersi come prova della loro fisica sparizione.  

  In conclusione e per fare un esempio concreto, non è sufficiente affermare che, vista l’esistenza di un certo ammontare contabile di magazzino, cui abbia fatto seguito una successiva carente rappresentazione del suo utilizzo, per ciò solo sia raggiunta la prova della distrazione.

Per approfondimenti