La bancarotta per distrazione dell’imprenditore individuale

  Anche se nell’economia contemporanea le imprese individuali costituiscono una percentuale molto minoritaria, si registrano ancora casi di incriminazione di imprenditori individuali a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione.

  Non può dirsi quindi priva di interesse concreto un’attenta disamina di queste ipotesi, le quali possono presentare una certa difficoltà di inquadramento.

  Difficoltà che nasce nel momento in cui le presunte distrazioni vengano ricostruite e rappresentate come passaggi di ricchezza fra i beni aziendali e i beni “personali” del suo titolare.

  Il punto da cui partire, il quale giustifica le virgolette apposte sull’aggettivo “personali”, è dato dal fatto che nella ditta individuale l’imprenditore risponde delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni, quindi anche con i beni estranei all’azienda.

  Ciò per il semplice motivo che sia i beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, che quelli relativi alla sfera non lavorativa, sono di proprietà dello stesso soggetto, persona fisica, e non costituiscono certo patrimoni separati. 

  Ne discende che, di regola, i passaggi di ricchezza fra le due categorie di beni sono neutri rispetto al delitto di bancarotta per distrazione.

  L’interprete, infatti, non deve cadere nell’errore di assimilare tale ipotesi a quella del passaggio di beni fra la sfera patrimoniale della società e quella del suo amministratore, perché in questa seconda evenienza, a differenza della prima, vi è effettivamente un trasferimento di ricchezza fra due patrimoni giuridicamente distinti, in quanto appartenenti a due soggetti giuridicamente diversi.

  Se lo spostamento di ricchezza (ad esempio il denaro che passa fra due rapporti bancari intestati all’imprenditore individuale, il primo utilizzato per l’azienda e il secondo per le spese della vita privata) è dunque di regola un’operazione neutra, occorre che l’accusa, per poter dimostrare la ricorrenza dei requisiti di cui all’articolo 322, 1 comma, lett. a) del Codice della Crisi, sia in grado di indicare e provare qualcosa di più di tale mero spostamento.

  Deve cioè dimostrare la presenza di ulteriori elementi, che vengono indicati come indici di fraudolenza.

  In sostanza, per poter essere condannato per aver distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato i propri beni, non basta che l’imprenditore individuale li abbia trasferiti fra le diverse sfere del suo stesso patrimonio.

  Occorre invece che, quale volontaria conseguenza di tale operazione, la ricchezza trasferita sia divenuta molto più evanescente, essendo passata attraverso una trasformazione che ne abbia deliberatamente svilito il contenuto, rendendolo più esiguo o più difficilmente reperibile o, ancora, dissipandolo. Il tutto con l’effetto di diminuire la garanzia offerta ai creditori dall’intero patrimonio dell’imprenditore individuale.       

  Un esempio di tale trasformazione lo si può rinvenire, ad esempio in una recente sentenza della cassazione penale, nella quale si è preso in esame il caso di un imprenditore individuale che abbia utilizzato il denaro presente sui conti dell’azienda per trasferirlo ad una società che lui partecipava solo in parte.

  L’aspetto fraudolento dell’operazione è stato rinvenuto dai giudici in due indici di fraudolenza, la cui motivata menzione ha consentito di rigettare la difesa dell’imprenditore.

  Tale difesa aveva affermato che non vi era stata alcuna distrazione, in quanto all’uscita della somma di denaro aveva fatto seguito l’ingresso della stessa nel patrimonio di una società partecipata dallo stesso imprenditore. L’effetto sarebbe stato quello di aver aumentato per pari importo il valore della partecipazione e quindi, indirettamente, di aver mantenuto inalterata la garanzia rappresentata dal patrimonio dell’imprenditore medesimo.

  Tale tesi è stata giustamente sconfessata con la condanna, nella quale si è invece evidenziato che:

  • La partecipazione dell’imputato nella società in questione non era totalitaria;
  • Il conferimento di denaro in una società non determina in via automatica l’aumento per pari importo del valore della partecipazione, il quale dipende da vari fattori, come per esempio l’entità dell’indebitamento e del patrimonio netto;
  • Lo stesso imputato, dopo un anno dal trasferimento in questione, aveva ceduto la sua partecipazione per una somma molto minore di quanto conferito, con ciò dimostrando che il trasferimento era stato dissipatorio.

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