La responsabilità penale del commercialista per la frode fiscale del cliente

   Sempre più spesso si leggono sentenze in cui i giudici penali, con puntuale avallo della Cassazione, condannano il consulente fiscale per concorso nella dichiarazione fraudolenta del cliente.

Quella del commercialista, in effetti, è una professione sempre più a rischio, anche dal punto di vista penale. Senza dimenticare che un’eventuale condanna comporta in maniera quasi automatica la confisca dei beni personali per valore equivalente a quello delle somme evase.

Ecco allora alcuni punti che il professionista deve tenere sempre presenti per minimizzare il rischio in parola.

  1. Contributo causale alla realizzazione del reato

Come accade per molte ipotesi di concorso, anche nel caso del concorso del commercialista nel reato tributario, si deve considerare inannanzi tutto la distinzione fra autore principale e concorrente. Qui autore principale è il contribuente perché è lui l’autore della dichiarazione fraudolenta. Affinchè l’accusa possa ottenere la condanna del commercialista per concorso nel fatto del cliente, essa deve dimostrare che la specifica attività del professionista abbia fornito al contribuente un aiuto determinante, aiuto che può essere sia di tipo morale che materiale. Un caso di aiuto morale ricorre, ad esempio, quando il commercialista risulti aver fornito preventive assicurazioni al contribuente in ordine alla predisposizione di ricorsi tributari, finalizzati a minimizzare gli effetti di un eventuale accertamento basato sulle fatture false. Un esempio di aiuto materiale può essere invece quello del commercialista che si presti ad adeguare la contabilità di magazzino, per renderla compatibile con le merci oggetto delle fatture, che in realtà non sono mai entrate. L’apporto morale deve essere tale da determinare o rafforzare il proposito criminoso, quello materiale deve fornire un supporto che, secondo la comune esperienza, sia riconoscibile come uno dei fattori che hanno reso possibile l’esecuzione del reato.

  1. Contributo causale e attività tipica del commercialista

Nel concorso di persone nel reato in questione, soltanto il contribuente, quale autore principale, pone in essere la tipica azione descritta dalla norma incriminatrice. I concorrenti come il commercialista, invece, pongono in essere condotte atipiche che, se valutate a prescindere dal contesto nel quale si collocano, potrebbero anche non risultare illecite. Ed è proprio questo il punto più delicato nella valutazione della posizione del professionista. Egli pone in essere atti che, di per sé considerati, ben potrebbero costituire null’altro che tipiche attività professionali, rientranti nel novero di quelle che ogni commercialista realizza quotidianamente in modo legittimo. Proprio alla luce di questa semplice considerazione ogni professionista deve sapere che la valutazione in termini penalistici della sua condotta sarà influenzata non tanto dall’atto in sé ma dal contesto in cui lo stesso viene ad inquadrarsi rispetto a quello specifico cliente e a quella specifica vicenda. E’ su quest’ultimo aspetto che deve incentrarsi la difesa del commercialista.

  1. La prova del coinvolgimento del professionista

Nel reato di false fatturazioni, a fronte di un utilizzatore c’è sempre almeno un emittente. Mentre l’utilizzatore è un soggetto imprenditoriale che intende rimanere sul mercato, gli emittenti sono quasi sempre società che esistono solo formalmente e solo allo scopo di lucrare sul business delle fatture false. Di conseguenza, gli esponenti di tali società sono persone che, avendo occultato i proventi, sono pronte a collaborare con la giustizia al fine di accedere al patteggiamento e minimizzare così la portata della pena. Gli inquirenti lo sanno e concedono il patteggiamento in cambio di una testimonianza, la quale finisce molto spesso per fare riferimento anche ai rapporti intrattenuti con il commercialista dell’utilizzatore. Beninteso, qualora quest’ultimo abbia in qualche modo interagito con l’emittente. Non è neppure da escludere che le indagini si avvalgano di intercettazioni telefoniche, soprattutto quando l’utilizzazione di carta fiscale fittizia si protrae per diversi esercizi. Può poi accadere, anche se questo è meno frequente, che sia lo stesso utilizzatore, per tentare di diminuire o escludere la propria responsabilità, a chiamare in causa l’opera del commercialista.

  1. Elemento soggettivo

Il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti è configurato, quanto all’elemento soggettivo, sulla base del dolo specifico.

La norma afferma in proposito: “… chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

Il dolo specifico è individuabile nella parte evidenziata in grassetto.

In sostanza, la previsione di tale tipo di dolo rende punibile solo quell’imputato che abbia agito con un atteggiamento mentale volto ad evadere le imposte e non invece per altri fini.

Questo ragionamento probatorio si complica quando i giudici, segnatamente con riferimento al concorso del commercialista, in mancanza della dimostrazione del dolo diretto, tentano di ripiegare sulla figura del dolo eventuale.

Si parla di dolo eventuale allorché gli elementi di indagine non consentono di ritenere provate, in modo chiaro e diretto, la consapevolezza e la volontà di commettere il fatto.

La giurisprudenza, in questi casi, con riferimento specifico ad alcune tipologie di reato, si accontenta della prova di una serie di indizi da cui poter desumere, su base logico deduttiva, che l’imputato aveva percepito che la propria condotta rischiava di condurre alla commissione del reato e, nonostante tale percezione, non si era fermato.

Detto in altri termini, in tali evenienze si afferma che l’imputato ha accettato un serio rischio di verificazione dell’evento e, dunque, è come se tale evento egli lo avesse voluto.

Nel caso dei reati di frode fiscale e, ancor più specificamente, del concorso in tali reati, occorre dire che questo ragionamento probatorio viene utilizzato da una consolidata giurisprudenza anche con riferimento all’accertamento del dolo specifico di evasione. La difesa del concorrente dovrà pertanto sottoporre ad un attento esame questo ulteriore versante accertativo, in quanto non può darsi sempre per scontata la compatibilità fra la necessità di accertamento del dolo specifico e la sua prova attraverso il criterio del dolo eventuale. Al commercialista viene di solito imputato di aver percepito indici di marcata anomalia in riferimento alla movimentazione delle fatture incriminate e di essersi, ciononostante, prodigato per supportare il cliente nella gestione contabile e fiscale dei detti costi, pur a fronte del serio rischio che tale attività, accompagnata dal mancato approfondimento della reale natura dei documenti, potesse condurre al reato di dichiarazione fraudolenta. Rispetto alla configurazione, da parte dell’accusa, di un simile atteggiamento mentale è però lecito chiedersi: “come può il consulente da una parte non volere la falsa dichiarazione in modo esplicito e diretto ma limitarsi ad accettarne il rischio e dall’altra, contemporaneamente, volere in modo chiaro e diretto il fine ultimo di evasione dell’imposta?”

Autore dell’articolo Enrico Leo

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