Effetti penali della “pace fiscale“

Si è molto polemizzato, a livello mediatico, in ordine alla totale esclusione di ogni possibile condono penale, quale effetto dell’entrata in vigore del decreto legge 119/2018, cosiddetta “pace fiscale”.

Il primo dato di rilievo oggettivo è costituito dalla mancanza, nel testo normativo in parola, di un’esplicita previsione di non punibilità penale legata alla composizione delle pendenze fiscali.

Per la produzione di un simile effetto, infatti, le precedenti normative di sanatoria fiscale avevano contemplato una norma ad hoc.

Basti richiamare, ad esempio, l’art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, il quale disponeva che «il perfezionamento della definizione comporta l’esclusione, ad ogni effetto, della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i citati reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria….”

Non senza precisare che, agli effetti penali, si poteva porre una distinzione rilevante fra la posizione di chi, al momento dell’entrata in vigore della normativa sulla definizione fiscale oppure al momento del perfezionamento della definizione stessa, avesse o meno già avuto conoscenza dell’esercizio dell’azione penale.

La Corte Costituzionale si è del resto più volte espressa, in proposito, a favore del riconoscimento di un’ampia discrezionalità del legislatore, il quale pur senza incorrere nella censura di aggiramento della maggioranza parlamentare necessaria per l’amnistia, può adottare, con legge ordinaria, una normativa denominata di condono o di causa di esclusione della punibilità penale, causa estintiva del reato o, ancora, indicata con formula verbale analoga.

Fra le motivazioni che più spesso vengono addotte per giustificare tali scelte legislative vi è quella secondo la quale l’accordo transattivo si giustifica per il fatto che le pretese dell’Amministrazione finanziaria, oggetto della definizione agevolata, non sono ancora del tutto riscontrate giudizialmente, impedendo così di affermare che lo Stato riconosca impunità ad un evasore già definitivamente accertato come tale.

Ad integrazione di ciò, si aggiunge quanto più volte sostenuto dalla Corte Costituzionale, sulla legittimità della scelta di perseguire i contingenti e concorrenti obiettivi di cassa e di riduzione del contenzioso anche potenziale.

Tornando al tema più specifico dell’ultimo decreto, pur in mancanza di norma ad hoc, non si può escludere che il perfezionamento della definizione agevolata possa condurre, per alcuni reati e in determinati casi, al conseguimento di benefici penali.

Esistono infatti alcune disposizioni del Dlgs n. 74/00, vale a dire del principale testo normativo sui reati tributari, le quali sono dettate “a futura memoria”, nel senso che sono concepite per recepire, in linea generale, gli effetti penali delle normative conciliative di tipo fiscale, dunque anche di quelle promulgate nel futuro.

Si tratta degli artt. 13 e 13-bis del citato dlgs n. 74 del 2000, per effetto dei quali il pagamento integrale del debito tributario costituisce, rispettivamente, causa di non punibilità per i reati di omesso versamento dell’Iva, delle ritenute e di indebita compensazione e circostanza attenuante per gli altri reati previsti dal medesimo decreto.

Tali articoli prevedono, infatti, che l’effetto estintivo dei citati reati si verifichi “…se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie …

Lo stesso dicasi per l’effetto di circostanza attenuante e di requisito di ammissibilità del patteggiamento.

Qualche dubbio può nascere nel momento in cui una normativa come quella posta dai due articoli 13 e 13 bis, che richiama genericamente il pagamento integrale, a seguito “delle speciali procedure conciliative”, deve essere applicata al pagamento previsto dall’ultimo decreto legge, il quale, come ogni normativa di sanatoria fiscale, prevede sconti più o meno consistenti.

Aggiungasi che gli effetti penali previsti dal dlgs n. 74/00 possono prodursi per pagamenti avvenuti non oltre il momento di apertura del dibattimento.

Tuttavia, si deve ribadire che gli articoli 13 e 13-bis recano una previsione ampia e omnicomprensiva, consentendo così di opinare, anche per ragioni di uguale trattamento sostanziale rispetto a situazioni analoghe, nel senso che l’elenco ivi previsto sia di tipo esemplificativo e non tassativo.

Era stata del resto la stessa relazione illustrativa del decreto 74/00 a precisare che la formula legislativa utilizzata nel punto oggi in discussione era stata volutamente ampia, dunque concepita in modo da poter recepire eventuali futuri istituti deflattivi.

In conclusione, è facile prescrizione quella dell’assoluta opportunità di far valere la detta possibile ragione di non punibilità in tutti quei procedimenti penali che, per titolo di reato e per fase, lo possano consentire.

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