Il giornale che aveva pubblicato l’accusa di malasanità deve dare la notizia dell’assoluzione del medico

Quando un paziente muore e i congiunti presentano denuncia per omicidio colposo contro i sanitari, spesso la notizia viene pubblicata sulla stampa con un certo rilievo, come caso di malasanità e, qualche volta, anche con nome e cognome del medico coinvolto.

La necessità di indicare nominativamente l’indagato può presentare qualche margine di dubbio, soprattutto quando si è ancora in fase di indagini e in assenza di qualsiasi provvedimento cautelare da parte dell’Ordine dei medici.

Il requisito della necessaria continenza della notizia dovrebbe indurre a valutare se sia necessario rendere pubblico il nominativo. Occorre infatti considerare che, in questi casi, l’esercizio del diritto di cronaca potrebbe condurre a distorsioni dannose rispetto al necessario bilanciamento fra diritto di essere informati e ordinato svolgimento del servizio sanitario, soprattutto quando il medico eserciti nel settore pubblico.

Si pensi a chi, dovendo essere operato da un certo chirurgo, legga in rete il nominativo di quel medico nel contesto di una notizia in cui si riferisce di una denuncia relativa al decesso di un paziente, denuncia spesso appena presentata e ancora non sottoposta al vaglio di alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria.

La questione poi si aggrava allorquando il medico venga prosciolto in udienza preliminare o assolto all’esito del dibattimento e quelle stesse testate che avevano dato la notizia della denuncia, utilizzando titoli che richiamavano senza mezzi termini una sorta di giudizio sommario di conclamata malasanità (molto spesso gli editori dimostrano una propensione “mercatistica” a invogliare l’acquisto della copia o a suscitare il click), non aggiornano l’informazione e omettono di riferire l’esito giudiziario della denuncia.

In questi casi, digitando su qualsiasi motore di ricerca, il nome del medico continua ad apparire in rete, legato alla notizia iniziale, ormai divenuta non solo pregiudizievole ma anche sostanzialmente non veritiera per difetto di aggiornamento.

In evenienze del genere la testata giornalistica ha un vero e proprio obbligo di pubblicare l’aggiornamento, rendendo così ragione al medico e ristabilendo la verità nei confronti dell’opinione pubblica, in primis nei confronti dei pazienti di quel sanitario.

Così ha stabilito, fra l’altro, il Garante per la protezione dei dati personali (Registro dei provvedimenti n. 358 del 15 settembre 2016), il quale ha affermato che deve essere data pronta attuazione al diritto dell’interessato volto ad ottenere l’aggiornamento delle notizie pubblicate negli articoli che lo riguardano, quale forma di rispetto dell’obbligo di verità e attualità della pubblicizzazione di dati personali.

Ciò vale in particolar modo per quegli eventi e sviluppi successivi che abbiano modificato le situazioni oggetto di cronaca giornalistica, incidendo significativamente sul profilo personale dell’interessato, come emergente da tali rappresentazioni.

Il provvedimento richiama la pronuncia della Cassazione (sentenza civile n. 5525/2012) che, giudicando su analoga fattispecie, ha stabilito che, a salvaguardia dell´identità sociale del soggetto, si deve garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento delle notizie giornalistiche, attraverso adeguato riferimento ad informazioni successive concernenti l’evoluzione della vicenda. Si tratta, invero, di circostanze che possono addirittura mutare radicalmente, come nel caso in questione, il quadro emergente dalla notizia originaria.

E’ evidente che la notizia originaria, relativa a fatti oggetto di vicenda giudiziaria, ove non venisse aggiornata a seguito della successiva evoluzione della stessa, diverrebbe parziale e non esatta e, dunque, sostanzialmente non vera.

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